Si definisce procreazione medicalmente assistita l’insieme dei trattamenti per la fertilità nei quali i gameti sia femminili (ovociti), sia maschili (spermatozoi), vengono trattati al fine di determinare il processo riproduttivo. Le tecniche di fecondazione assistita si sono rapidamente evolute e si dividono in interventi di primo, secondo e terzo livello.
Negli interventi di primo livello rientrano i trattamenti farmacologi che hanno l’intento di indurre un’ovulazione multipla, l’immissione del seme maschile all’interno della cavità uterina, ambulatorialmente, attraverso un catetere molto sottile ed infine la conservazione dei gameti maschili.
L’induzione farmacologica dell’ovulazione serve ad aumentare la probabilità di successo e gli spermatozoi vengono trattati in laboratorio allo scopo di selezionare i migliori.
Negli interventi di secondo e terzo livello viene usata prevalentemente la FIVET (fertilizzazione in vitro e trasferimento dell’embrione in utero): in seguito alla stimolazione farmacologica dell’ovaio, vengono prelevati gli ovociti prodotti, inseminati in laboratorio, fatti fecondare ed in seguito avviene lo sviluppo dell’embrione. Non è possibile garantire tuttavia la riuscita dell’intero ciclo, di conseguenza, la coppia può scegliere di riprovare a distanza di tempo una seconda FIVET e così via.
Secondo l’OMS (organizzazione mondiale della sanità), una coppia è sterile quando uno o entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica permanente che rende impossibile la procreazione, mentre è considerata infertile quando non è stata in grado di concepire dopo un anno o più di rapporti sessuali non protetti. Esistono poi le infertitilità secondarie all’interno delle quali rientrano le coppie che non riescono ad avere un bambino dopo una prima gravidanza andata a lieto fine.
Quali sono i meccanismi che entrano in gioco quando una coppia non riesce ad avere figli? Secondo il paradigma sistemico, la vita di una famiglia è scandita da transizioni, passaggi cruciali della vita familiare legata ad eventi che, modificando gli equilibri, richiedono dei cambiamenti nelle relazioni familiari. “ I membri della famiglia sono tenuti a portare avanti dei compiti di sviluppo che, se completati, permettono loro di riorganizzarsi intorno all’evento, trovando un nuovo equilibrio; se questo non avviene, la famiglia rimane bloccata nella fase del ciclo vitale in cui si trova e non può crescere. La coppia che affronta un problema di fertilità, intimamente non potrà non fare i conti con i significati che vengono attribuiti alla procreazione nella propria famiglia e in quella del partner. La difficoltà a concepire un bambino non mette in discussione solo la possibilità per la coppia di diventare genitori, ma anche quella per i familiari di diventare nonni oppure zii. La sterilità è stata infatti definita come un evento paranormativo del ciclo di vita familiare che comporta la riorganizzazione degli equilibri nell’intero sistema della famiglia trigenerazionale”.
Questo è il motivo per cui, molta della sofferenza originata dalle coppie sterili o infertili sia rappresentata dalla crisi del progetto generativo rispetto al rapporto con le aspettative familiari.
Sono stati effettuati vari studi sulle coppie infertili e sulla dinamica di coppia prevalente. In alcune coppie si cerca di evitare di affrontare il problema della feritilità, incrementando gli aspetti fusionali della relazione. In altre un eccesso di coesione fa aumentare la componente aggressiva velata dalla frustrazione specialmente femminile rispetto all’impossibilità del concepimento. E’ presente soprattutto nel genere femminile l’idea di avere un corpo morto, vuoto, di sentirsi malate, di non sentirsi donne perchè incapaci di avere un figlio, la diagnosi di infertilità è un lutto difficile da elaborare sia perchè non solo riguarda il presente, ma anche la proiezione di sì nel futuro. L’isolamento e la solitudine in cui riversa la coppia è incrementato dall’assenza di una dimensione sociale che conforti i partner. Spesso le coppie tengono per sè questo lutto, non parlano del loro percorso di PMA, per non sentirsi diverse dalle altre coppie e per la paura che possa non andare bene il primo ciclo.
Sarebbe opportuno per queste situazioni offrire alla coppia la possibilità di essere accompagnati in un percorso psicologico, che rappresenti il loro spazio tempo all’interno del quale possano raccontare la sofferenza che hanno dentro e che tengono celata agli altri. La terapia diventa un’opportunità per dedicare tempo a se stessi, per accettare ciò che ci fa male, per lavorare sulle proprie risorse potenziali.
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