Pandemia. Chiusura totale. Niente pranzi, niente cene. Niente uscite con amici, niente passeggiate in gruppo, niente contatto fisico. Ci si saluta a distanza oppure con il gomito. Niente abbracci, niente baci. Nessuna vicinanza. Nessuna possibilità di leggere il labiale e di sentire l'emozione che fuoriesce dalla bocca di una persona.
Un anno dal primo lockdown, quando il tempo si era fermato. Poi siamo tornati a quel briciolo di normalità, ma solo apparente. Le mascherine sempre obbligatorie, gli assembramenti ancora malvisti. Riapertura provvisoria. E poi chiusura di nuovo. Altra semi riapertura e poi ancora chiusura. Di nuovo. "Ci risiamo".
Ad un anno da quando è scoppiata la pandemia, ci ritroviamo a fare i conti con il distress psicologico. L'anno scorso c'era la straordinarietà, le persone hanno impiegato del tempo per metabolizzare il fatto che il tempo si fosse fermato e con esso anche il mondo con tutte le sua attività. Adesso le persone hanno come la percezione di essersi adeguate a questo distress psicologico, a questa anormalità, a questo coprifuoco, a queste limitazioni.
La limitazione stessa di tempo, di attività, di organizzazione, è diventata la normalità, è diventata la quotidianità. Adesso i pensieri più frequenti che mi capita di riscontrare in consultazione non sono più "come faremo a farci andar bene questa situazione?" ma "come faremo a ritornare alla normalità?" Questa anormalità pandemica per molti di noi è diventata routinaria; il suo non funzionamento in realtà dà senso alla routine di tutti i giorni, scandisce i momenti della giornata, pone delle regole importanti e dei limiti significativi all'integrazione sociale. "Io mi sono abituato a questa situazione ormai, non so come sarà quando si potrà tornare a socializzare non più virtualmente", "Nonostante tutto, sto bene così, mi sono adeguato a questa situazione, per me sarebbe destabilizzante tornare alla vita precedente il covid". Questi pensieri sono reali e sono più comuni di quanto si possa pensare. La non integrazione e l'isolamento all'inizio della pandemia erano visti come distruttivi a livello psicologico per la persona e in molte situazioni effettivamente è stato così. Quella stessa pesantezza di un anno fa, adesso è diventata "conditio sine qua non" per dare senso a questa anormalità. La pandemia e i suoi effetti sono gli stessi, le restrizioni anche. Cosa sta cambiando e cosa è cambiato a livello psicologico? L'individuo, dotato di così tante risorse, alla fine riesce ad adeguarsi più o meno serenamente a tutte le situazioni disfunzionali e quando dà senso alla disfunzionalità, capisce quanto potenzialmente disadattivo potrebbe essere il ritorno ad una normalità che ormai non si conosce più, della quale ci è rimasto un lontano ricordo. Siamo davvero pronti per tornare alla normalità tanto sperata? E' davvero quello che sentiamo? Voi come state vivendo questo nuovo lockdown? Vi siete accomodati dolcemente su questa anormalità oppure sentite il bisogno di evadere? La possibilità di tornare alla normalità vi fa star meglio o vi intimidisce?
La terapia insegna ad accettare le cose che non si possono cambiare, riguardanti fattori esterni, persone e comportamenti che non possono essere sotto il nostro controllo. Tuttavia la terapia insegna ad avere sempre il focus su di sè, ad interrogarsi sempre rispetto ai propri bisogni, ad ascoltarli e a decidere sulla base di essi. La terapia è uno spazio sicuro ed intimo, all'interno del quale la persona può sentirsi libera di esprimere se stessa in maniera autentica. Riflettete su quali siano le ripercussioni del covid sulla vostra persona, quali siano le vostre modalità di affronto, quali siano le vostre mancanze ma anche quali siano le vostre risorse. Che vi adeguiate oppure no a questa situazione, ricordatevi ogni giorno di mettere il vostro benessere mentale al primo posto!
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